Fibrosi Cistica Emilia

Donare organi, battaglia di civiltà

Rilanciamo l’appello lanciato dalla Signora Acerbi, madre di un ragazzo affetto da fibrosi cistica ed in attesa di trapianto.

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Testo tratto da articolo originale QUI: http://www.ilgiorno.it/lodi/cronaca/2011/09/25/587767-donare_organi.shtml – Autrice: Laura Di Bendetto (Il Giorno -Lodi), che ringraziamo per aver dato eco ad un appello tanto importante e al quale sentitamente siamo partecipi.

Scatta l’appello: “Salvate mio figlio”

Il ragazzo ha una fibrosi cistica ma da due anni è in lista d’attesa. E nella sua stessa situazione sono in 60

Lodi Vecchio, 25 settembre 2011 – “Il mio sogno? È che mio figlio venga sottoposto a trapianto dei polmoni domani, e che poi riesca a crearsi una famiglia». È uno dei pochi momenti in cui Eugenia Acerbi ha gli occhi lucidi. Ha invece lo sguardo sicuro e la voce ferma quando lancia il suo appello a coloro che, colpiti da un lutto improvviso, devono scegliere se donare gli organi di un congiunto: «Sono momenti molto difficili e di certo non desidero che muoia qualcuno per salvare mio figlio ma, dal momento che certe tragedie accadono comunque, vorrei che i familiari della persona deceduta pensassero che, donando gli organi, il loro caro in un certo senso vivrà ancora e che di sicuro ridaranno la vita a qualcuno che la sta perdendo e che ha sofferto a lungo».

 

Il riferimento è a suo figlio, M.N., 36 anni, affetto da una fibrosi cistica, malattia genetica, come tale cronica e al momento non guaribile, che, per il difetto di funzionamento di una proteina (Cftr), provoca una anomalia nelle secrezioni esocrine dell’organismo le quali finiscono con l’ostruire apparato digerente e polmoni. Acerbi racconta del suo caso personale solo come esempio ma il suo scopo è far capire l’importanza della donazione di organi: «Al Policlinico di Pavia, il nostro centro trapianti di riferimento, sono una sessantina ad aspettare un organo, tra cui molti giovani — spiega mamma Eugenia —. È un’esperienza che fa vivere in uno stato di ansia perenne. E che lascia stravolti e amareggiati. Noi, ad esempio, siamo stati chiamati tre volte i primi mesi e poi più niente. Ci è capitato di passare lì una notte in attesa o di passare un intero fine settimana accanto al telefono, per poi sentirci dire di no».

 

«È difficile capire i meccanismi che regolano la scelta del ricevente — prosegue la donna — anche se sappiamo che c’entrano fattori come la compatibilità, la misura dell’organo, l’età del donatore, ma anche, ci è stato detto, quale ospedale è di turno per ricevere l’organo. Intanto per mio figlio e per altri soggetti a rischio adesso arriva la stagione peggiore: due anni fa per le conseguenze di una banale influenza ho temuto di perderlo. Per questo a breve dovrà farsi ricoverare a fini preventivi per una cura periodica intensiva di antibiotici.

 

Ma ormai il miglioramento è minimo: il suo fisico ormai è resistente alla maggior parte di questi farmaci. Proprio per questo, 2 anni fa è stato inserito nella lista nazionale delle persone in attesa di trapianto». Probabilmente in Italia manca ancora una vera cultura della donazione (le tessere sul consenso alla donazione distribuite anni fa dall’ex ministro Bindi sono finite nel dimenticatoio): «Bisognerebbe lanciare una campagna di sensibilizzazione — afferma Acerbi —. Di recente abbiamo saputo che un malato, dopo 5 anni, è stato cancellato dalla lista d’attesa dei trapianti perché ormai il suo quadro clinico è compromesso. La stessa cosa potrebbe accadere a mio figlio o ad altri, magari perché qualche famiglia ha detto no all’espianto degli organi».

di Laura Di Bendetto

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