Fibrosi Cistica Emilia

A spasso con la Fibrosi cistica

di Danielea Ceresini

Sei con me fin dal primo giorno di vita, sei stata e sei una gran rompiscatole! A volte un vero tormento! Mi hai costretto a rispettare orari e impegni fissi ogni santo giorno, e tu sai quanto io sia incostante…

Sin dalla nascita, per causa tua, ho dovuto fare la fisioterapia respiratoria, e all’epoca si faceva con le “battiture”. I miei genitori hanno dovuto imparare a farle e da quel momento abbiamo dovuto incastrare quotidianamente orari e impegni reciproci per fare la fisio due volte al giorno. Loro cercavano di alleggerire la “ginnastica” (fisioterapia) con le marionette: intanto che mio babbo mi faceva le battiture mia mamma faceva il teatrino, oppure animava le nostre ciabatte facendogli fare mille avventure.

È stato così fino ai 25 anni (25!) quando finalmente è arrivato un nuovo metodo di fare la fisio autonomamente, guadagnando almeno il vantaggio di poterla fare da sola. Per questo fino all’adolescenza ho dovuto rinunciare a gite, vacanze in colonia, campi scuola… Qualche volta, però, l’ho spuntata io. Come quando a 17 anni ho fatto la mia prima vacanza senza genitori e, facendo “versi da gatto”, sono riuscita a farmi le battiture da sola, con l’aiuto di un’amica per fare quelle sulla schiena.

“Cara” fibrosi cistica, ho dovuto pure ingrassare per farti contenta. “Mangia, devi mangiare!”  Che strazio il momento dei pasti per una che non ha mai fame e deve mettere su peso. Cosa non si è dovuto inventare mio nonno, che mi teneva a pranzo, per invogliarmi a mangiare. Alla disperazione aveva rispolverato persino la panadella (pane ammollato nel brodo con tanto Parmigiano).

E poi i tanti ricoveri, all’inizio li contavo, poi arrivata a 10 ho smesso. Il primo è stato a 11 anni, era l’inizio di giugno, ero al termine del primo anno delle medie e non avevo potuto finire l’anno scolastico. Mi ero portata le Barbie e avevo improvvisato la piscina nel lavello del bagno. Da quel momento in poi i giorni di scuola e poi di lavoro persi sono stati centinaia, settimane, poi mesi e addirittura anni interi di ospedale.

Un anno, era l’ultimo anno delle superiori, il più importante, per non perdere giorni di scuola andavo e venivo dall’ospedale a scuola in bicicletta. Entravo un’ora dopo, per avere il tempo di fare le flebo e la fisio, e poi tornavo in ospedale. Ho tenuto botta per una settimana, poi la stanchezza è stata troppa.

Nonostante te, però, sono riuscita a fare anche cose che sarebbero state impensabili per una con la Mucoviscidosi. Ti chiamavano così quando sono nata e ai miei genitori era stato detto che non mi avresti lasciato scampo. 3 anni di vita, era questa la prospettiva che gli avevano dato. Invece di anni ne sono passati 47 e tra le altre cose ho potuto vivere la passione per la montagna, raggiungere vette, rifugi, fare ferrate, godere della soddisfazione di ha fatto fatica ma può dire “ce l’ho fatta”.

La laurea, il lavoro, andare a vivere da sola, altre belle conquiste. Cose di per sè semplici, ma non per me. Ad un certo punto il cammino con te si è fatto sempre più duro, mi hai letteralmente tolto il fiato e portato allo stremo delle forze,. Lì ho davvero temuto di doverti cedere il passo.

Quando si pensa ad una persona sulla carrozzina, o ferma in un letto, il più delle volte si suppone che abbia problemi motori, invece anche la mancanza di fiato ti può togliere le forze fino al punto che non riesci più nemmeno a vestirti o lavarti da sola. È stato grazie al dono immenso di un’altra persona, e dei suoi famigliari, se ho potuto fare il trapianto di polmoni e proseguire la mia strada fino ad ora.

Eppure, cercando il lato positivo, quei momenti mi hanno “costretto” ad andare al sodo, a guardare alle cose essenziali, quelle che fanno davvero la differenza nella vita, e lasciar perdere il di più. Mi hanno aperto gli occhi per vedere le amicizie vere e mi hanno fatto sentire davvero grata per l’amore che ho avuto attorno a me nei momenti più difficili. La forza e la tenacia dei miei genitori, i tanti modi con cui altre persone mi sono state vicine con una visita, una telefonata, le preghiere. E dopo, passata la tempesta, capire che anche il Signore non mi aveva mai abbandonato, che era sempre rimasto accanto a me sulla barca, e che se io e i miei genitori abbiamo potuto sopportare tutta quella sofferenza è stato solo grazie a LUI.

Dopo 47 anni, non ci siamo ancora lasciate, fra 3 anni faremo le nozze d’oro. Giunte a questo punto non mi dispiacerebbe se tu prendessi un’altra strada… ma temo che toccherà stare ancora assieme.

Se puoi, cerca almeno di non essere troppo ingombrante.