Fibrosi Cistica Emilia

Tutta la vita che c’è

di Giorgia Cattani

Ero una bambina tranquilla, molto timida, con poche amicizie e molto affezionata alla famiglia. La fibrosi cistica mi rendeva ancora più schiva. Ero molto legata a mia madre che ogni giorno mi praticava le battiture e mi seguiva nella terapia. Guardavo come esempio mia sorella più grande, anche lei malata FC ma molto energica e sorridente. La mia vita scorreva lenta: i ricoveri con mia sorella, le terapie a casa, i pianti perché venivo esclusa dalla vita da “grandi” dalle sorelle. Una vita familiare intervallata dal ritmo della malattia. Se stavamo bene, tutto scorreva fluido; se c’era un aggravamento si bloccava tutto. La fibrosi cistica regolava gli umori di tutti. Solo ora mi accorgo di quanto può essere stato impattante per Silvia, mia sorella “sana”. Ogni tanto chiedevo a mamma il perché di tutto questo e lei mi rispondeva sempre “Vedrai che arriva la medicina e guarirete”. Quante volte ho sognato l’arrivo di quella famosa “medicina”. Quante fantasie della vita “dopo”.

Mi sono svegliata bruscamente da questo torpore un giorno di maggio, quando mia sorella AnnaMaria è deceduta causa complicazioni. È stato un periodo molto duro. Mi sono sentita in colpa per essere sopravvissuta e ho scoperto a mie spese la reale portata della fibrosi cistica. Non era solo un impiccio, si poteva morire. Sono crollate molte convinzioni errate e ho imparato a dare più valore ad ogni sorriso delle persone.

Sono cresciuta e ho affrontato altre perdite, altri pezzi di me che sono andati via.

Nel 1998, su consiglio dei medici di Parma, ho intrapreso il cammino del trapianto. Non sapevo cosa comportasse, sentirselo spiegare non è mai come viverlo sulla propria pelle. Fisicamente stavo molto bene, ero anche riuscita ad ingrassare e non mi sembrava il momento giusto per fare un intervento del genere. Mi sembrava un passo indietro, piangevo e non capivo che era arrivato il momento di passare oltre. Quando ho ricevuto la telefonata ho pianto e urlato di dolore. Credevo fosse la fine di tutto. In un’ora ho dovuto salutare l’altra mia sorella, le amiche, la mia casa. Ero fermamente convinta di non tornare più. Sento ancora il peso che portavo addosso durante il viaggio verso Roma, nell’autoambulanza che sfrecciava di notte sull’asfalto. La mente era un groviglio di pensieri negativi. Poi siamo arrivati in un luogo che solo ora conosco come seconda casa, il Policlinico Umberto I. Mi ricordo poco dei preparativi, come se avessi rimosso tutta l’ansia e la paura che avevo.

E poi ti risvegli. E ti accorgi che sei viva. Anestetizzata, intorpidita ma ci sei. E allora lì inizia la tua nuova vita. La seconda possibilità. La rivoluzione. Perché il trapianto è vita, salvezza ma è anche sconvolgimento di tutto quello che sapevi prima. Di quello che facevi e non facevi prima. Il post trapianto è stato duro e complicato per il primo anno. Vivere nella capitale non è stato semplice ma la mia famiglia è stata sempre presente e anche le amiche.

Sono stata trapiantata di polmoni nel 1999, a novembre saranno esattamente 24 anni ed è stato il passo più importante della mia vita. Mi ha stravolto, confuso e schiaffeggiato come una sferzata di vento e mi ha illuminata, scaldata e coccolata come una giornata di sole. È stata la mia rinascita.

Ho iniziato a viaggiare senza limiti, a vivere senza rinunce, a sentirmi libera finché la vita ha deciso di darmi un altro stop. E dopo un anno e mezzo di emodialisi, quando mi è stato offerto un trapianto renale, ero contentissima.

Nel 2011 ho finalmente chiuso con la dialisi due volte a settimana e ho affrontato il trapianto di rene con una consapevolezza differente dal precedente. Ora sapevo cosa mi aspettava. Una vita diversa, una nuova bellissima avventura.

In tutti questi 46 anni ho imparato, ho sbagliato, ho perso e ho vinto qualcosa. L’immobilità non fa crescere. Ci saranno sempre ostacoli ma bisogna trovare il coraggio di vivere e di non ritirarsi. I miei due donatori e le loro famiglie hanno investito sulla vita. Lo devo e voglio fare anche io.