Fibrosi Cistica Emilia

 Non sono la mia malattia

di Alessia Alfieri

Mi siedo e faccio un respiro profondo. Se mi dovessero chiedere cosa rappresenta per me la fibrosi cistica, ad oggi, risponderei che sono io? Io sono la mia malattia? Faccio un altro respiro. E provo a guardarmi dentro.

Sono una persona che cerca sempre di andare al dunque, di risolvere le cose di petto, di arrivare al pratico, di risolvere il prima possibile un problema che mi preoccupa o risolvere situazioni che mi creano disagio, cercando alternative, piani B e C…Una persona che sente le cose di pancia e che non ha neanche troppa paura di sentirle. Solitamente cerco di prendermi il mio tempo per riflettere, ma di non perderne troppo, di tempo. Da quando sono bambina mi hanno sempre detto che ne avevo poco.

Penso che sia proprio per questo che ho sempre avuto nella testa: il ticchettio insistente e continuo delle lancette dell’orologio, come quello che ho in cucina appeso al muro. Forse è per questo che l’ho tanto voluto quell’orologio, per ricordarmi che il tempo passa sempre. Anche quando non vorresti. Anche quando invece scorre troppo lentamente.

La malattia si confonde con la mia identità di giovane donna di 27 anni a tal punto da sormontarla? È la prima domanda che mi è venuta in mente quando ho deciso di partecipare a questo progetto. Credo che sia importante farsi delle domande prima di scrivere. Credo che sia importante farsele in generale prima di iniziare una cosa: scrivendole le metti nero su bianco, i pensieri diventano meno invadenti: scrivendoli è come se uscissero dalla tua testa ed è come se pesassero meno.

Io che di domande (me) ne faccio tante, anche se di risposte in realtà non ne ho trovate altrettante… O per lo meno, non che mi piacessero particolarmente, ma ogni volta mi adatto e cerco di andare avanti. Di trovare dentro di me la verità, di mantenere la pazienza di aspettare; ho imparato che avere fretta non ci fa bene, perché se la risposta che ti dai non proviene dal tuo cuore, allora non te ne fai niente.

Provando a rispondere alla domanda di prima… Sì, io coincido con la fibrosi cistica quando sovrasta in me la parte più irrazionale, triste e disperata. È ancora sì quando vivo momenti difficili con la malattia, sì quando mi prendo una forte influenza e la tosse rimane lì per un mese.

È sì quando ho problemi di pancia o quando faccio fatica a concentrarmi nei miei progetti di vita perché il tempo da dedicare alla fibrosi cistica è molto.

Sì, ogni volta che devo iniziare l’antibiotico perchè è in corso una nuova infiammazione.

È sempre sì quando i dottori mi comunicano che è necessaria una nuova terapia endovena per migliorare il mio stato di salute. È ancora sì quando leggo informazioni non buone su internet inerenti alla media di vita dei malati di fibrosi cistica…

In poche parole è SI quando vedo tutto nero, quando sono presa dallo sconforto, quando il tempo che dedico alle mie cure è superiore rispetto al tempo che dedico al mio lavoro, ai miei interessi, alla mia famiglia, ai miei amici, al mio fidanzato… alle mie passioni.

E sì, io sono la mia patologia, quando non voglio piangere, quando stringo i denti e non lascio andare le mie emozioni insieme alle mie paure. Quando trattengo il respiro anzichè lasciarlo andare. È sì quando mi si annebbia la vista, mi si attorciglia lo stomaco, quando lascio che la rabbia e la passività abbiano la meglio sul mio ottimismo e sulla mia voglia di fare, di essere e di vivere. È sì quando mi tengo tutto dentro e mi isolo per non appesantire le persone che mi amano e che non vogliono vedermi soffrire. È ancora sì quando dico di no all’uscita con un’amica perchè non mi sento a mio agio con il mio corpo e con i miei pensieri, quando indosso vesti che non sento mie, quando mi sento ‘’di troppo’’ in un mondo così impegnativo. È sì quando ingoio e mando giù, quando invece per stare bene e per ritrovarmi dovrei solo buttare fuori e fare dei grandi respiri.

Già, il respiro. Quello che nei momenti più impegnativi della malattia tante volte mi è mancato e che qualche volta mi ha fatto finire al pronto soccorso.

Poi ci sono i momenti felici e spensierati, quelli che mi permettono di convivere serenamente con la mia patologia. In questi momenti risponderei che NO, non sono (solo) la mia malattia. Risponderei che la malattia è la mia compagna di viaggio, con la quale ogni tanto litigo, ma che a fine giornata abbraccio e cerco sempre di farci pace, di ascoltarla e di parlarci, proprio come farei con un’amica.

 Non sono la mia malattia quando mi rispecchio negli occhi di mia mamma e di mio papà e vedo il sacrificio che hanno fatto nel farmi studiare, nel farmi vivere una vita il più serena possibile. Non sono la mia malattia quando abbraccio mio fratello a tal punto da commuovermi per quanto sia grata alla vita di avere una persona come lui al mio fianco. Quando mi basta una sola sua battuta a spazzar via tutta la negatività con la quale, sbagliando, pensavo di proteggermi.

Una parola gentile di mia sorella e i segreti che ci confidiamo; lei, che mi fa sentire speciale anche quando non faccio niente di così buono. Le attenzioni e le premure quotidiane del mio moroso, che dal primo giorno ha saputo prendere per mano me e la fibrosi cistica, senza farmi pesare la mia diversità. Mi rendo conto che la mia forza sono proprio loro. Forse può sembrare una affermazione quasi banale, uno di quei pensieri che non fai tutti i giorni perchè ormai siamo sempre più abituati a fare senza pensare, vivere senza vivere davvero.

La forza per affrontare i miei momenti negativi (ma anche i miei momenti più belli) me la danno la mia famiglia, il pranzo della domenica insieme, il caffè con il miele con mia mamma, le passeggiate con mia sorella, uno sguardo affettuoso di mio papà la domenica sera quando ci salutiamo, i concerti e le gite con mio fratello. I miei amici e una pizza in loro compagnia, i discorsi seri e quelli meno seri. Il mio compagno, un suo bacio e un suo abbraccio, una sua parola di conforto, il nostro giocare insieme, la nostra complicità. I miei due amici a quattro zampe che ogni giorno riescono a strapparmi un sorriso e che sono per me una carezza al cuore. La forza la ritrovo in una bella giornata di sole dopo un acquazzone, nel contatto dell’aria fresca sul viso, in un bel libro, una passeggiata in campagna. Lo studio. Una preghiera.

La fibrosi cistica mi ha tolto, e mi ha dato. E continua a farlo. Continua a togliermi, e a darmi. La cosa più preziosa che mi tengo al cuore è la consapevolezza di quanto sia preziosa la vita che oggi viviamo, quella che con coraggio mi ha dato la forza di alzarmi dal letto stamattina, di andare al lavoro a scuola dai miei bimbi, di insegnare loro il rispetto come prima cosa e la gentilezza che solo un sorriso e una parola possono regalare; anche quando non è una gran giornata, anche quando fuori piove ma un po’ anche dentro, quando va tutto storto, quando ti senti ferito, quando ti senti perso, quando ti senti solo.

Vivere con una patologia genetica importante come la fibrosi cistica, non è una cosa semplice. Non è semplice perchè vivere non dovrebbe essere una lotta, una guerra, una battaglia. E nemmeno vivere dovrebbe significare sopravvivere, anche se tante volte invece lo è.
E allora cerco di prendere la vita così com’è, per quella che è, cercando di non starci troppo male quando vengo ferita, ricordandomi chissà quante volte ferisco io. Cerco di essere sempre sincera con me, anche se invece qualche volta finisco per non esserlo. Cerco di accettarmi con i miei limiti e cerco di valorizzare le mie qualità e le mie capacità, cerco di lavorare su me stessa perchè solo così posso vedermi ogni giorno con occhi diversi.

Solo così posso coltivare un’altra Alessia, che sia, almeno in parte, slegata dalla fibrosi cistica.

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